Gualtiero
Lo Curto

 
Paesaggi della Memoria
 

La ricerca pittorica di Gualtiero Lo Curto è strettamente connessa a quel pensiero in cui lo spazio è legato al tempo dell'esistenza, alla fisicità della materia, alla gestualità del fare capace di formulare un'esperienza, un contatto con il mondo, con il continente mentale esplorato e scoperto attraverso il ricordo o l'immaginazione.

Larghe chiazze organizzano visioni organiche e strutturate stesure informi, figure geometriche del possibile, rigate o brulle, rugose come antichi paesaggi. Si piegano fuscelli al vento e si amalgamano alle crete del terreno, giallo di Siena naturale e terre d'ambra tendenti al rossiccio. Appaiono a strati, nascenti boschi e intrighi di rami ora verdi, ora secchi, protesi al sole, verso la macchia mediterranea. Solidale alla materia, la superficie sembra voler fare spazio con i suoi colori alla luce.

Sono paesaggi della memoria in cui la costante presenza del colore oro, a volte spruzzato, altre volte dipinto sulla superficie - supporto, assume valenza di generatore o emittente di spazio illuminante, giacché non si riduce la metafisica dello spazio se non intendendolo, fenomenologicamente, come luce. Lo schermo diventa così filtro e permette al pittore di dosare l'effusione della luce e le trasparenze, le velature, le stratificazioni e la fisicità della materia introdotta: essere cioè piano di proiezione e nel contempo avere una dimensione carica di tensioni che la tela trattiene attraverso la luce, lo spazio ed il tempo.

Afasce si strutturano episodi e caverne ed anfratti. Un comporre sironiano, un proporre tecniche di memoria surrealista, alla Max Ernst: frottage e collage, impronte e monotipo, frammisti a strappi di materiali, di carte, tra stesure cromatiche di rosso mattone. Episodi in cui riaffiora la lezione di Alberto Burri in cui le materie naturali, le materie vissute, avevano una genesi ed una storia: per quanto degradate, conservavano un residuo dell'originaria energia creativa.

Il quadro, come immagine fissa, sviluppa una virtuale successione di immagini; ma poiché la percezione è un fatto mentale, e non puramente ottico e recettivo, il movimento non interessa in quanto movimento della cosa ma come moto intrinseco all'immagine e cioè come moto dell'immaginazione, che è appunto l'oggetto principale dell'indagine. Se il quadro che mette in moto l'immaginazione è un'esperienza positiva, lo è proprio perché l'immagine non è statica o inerte: l'immaginazione è pensiero e come tale rifugge dalla stasi. I quadri di Lo Curto sono come un susseguirsi di fotogrammi di identica misura, un andare per colli e apparizioni con sequenze sempre nuove. L'occhio spazia come una macchina da presa, pronto a carpire le diverse angolazioni del paesaggio interrogandosi se è la natura che entra in noi o il proiettarsi dell'interno verso l'esterno che crea la natura.

Visioni, stacchi a macchina fissa. Il quadrato succede al rettangolo nei lavori più recenti. Rettangoli nati dal motivo verticale dell'immagine immessa. Figure, scheletri, apparizioni fantastiche ed organiche insieme, striate da colpi di spatola in rosso, azzurro e viola. Il verticale che si placa, si inchina e si adagia nell'orizzonte, terra che accoglie il riposo e il sempiterno ritorno all'origine. Lo scorrere ed il perpetuarsi della linfa rigeneratrice.

Stendersi, adagiarsi di lato: ecco il paesaggio. L'altezza si propone e tramuta, il corpo carne diviene l'humus natura. Il vento, le piante, la luce, la terra, per la loro prossimità all'origine, sono il primo passaggio verso la conoscenza. Nell'universo della natura c'è il respiro del mondo, l'affanno della materia, le sue pulsazioni, il paesaggio, la sua visibilità, il trascorrere dell'enigma verso la luce. Ogni particolare è insieme assoluto e transitorio, ogni tramonto è irripetibile e non è che un tramonto.

Lo Curto pone il problema sulla misura del possibile apparire e mostrarsi. Sulle immagini si proiettano riquadri di luce, a scatti concatenati, valori di luce e di poesia. Il cercare instancabile che mai doma l'attenzione e l'attesa del nuovo sorgere di un'alba o di un tramonto, si rifugia negli anfratti concessi, nei luoghi immaginati. Diviene quadro. Diviene rettangolo e quadrato. Spazio e luce, aria e materia, natura e arte. Un fare continuo che si placa e diviene.

 
Testo di
Massimo Di Stefano
Catalogo
CARTE D'ARTE© 1998

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